La musica Africana – Tra passato e presente

Pubblicazione curata da Romeo Fabbri per conto della Campagna

CHIAMA L’AFRICA

 

INDICE

 

Prefazione

 

I. Una rete di reciproche influenze

1. Influenze da e verso l’islam

2. Influenze da e verso l’Europa

3. Influenze da e verso il Nuovo Mondo

4. Un mondo musicale in rapida evoluzione

 

II. Musica tradizionale e vita della comunità

Diversità nell’unita

Funzione della musica

Tempi e luoghi della musica

Principali caratteristiche della musica africana

 

III. Forme della musica africana

 

IV. Gruppi e strumenti musicali

Gruppi musicali

Strumenti musicali

 

V. Musica africana moderna: stili e protagonisti

Stili e profili

Paesi

 

Conclusione

 

Bibliografia

 


 

PREFAZIONE

Quelli che sono stati chiamati in un primo tempo selvaggi, poi primitivi e infine, per mitigare il significato negativo e spregiativo dei termini, “gli altri”, i diversi da noi per aspetto fisico ed eredita culturale, i popoli dell’Africa incontrati e dominati dall’Europa, sono portatori di una ricca e originale tradizione musicale che si va sempre più imponendo a livello mondiale. La magia della musica africana contagia un numero crescente di estimatori e fruitori e attira l’attenzione anche delle maggiori case discografiche sparse nel mondo.

In Italia, la mancanza di un rilevante e duraturo passato coloniale continua a influire negativamente sulla conoscenza dell’Africa in generale e delle sue tradizioni musicali in particolare. CiÚ che a Parigi, Londra, Lisbona, Bruxelles rappresenta ormai da decenni una presenza stabile ed affermata comincia appena ora a fare capolino nelle metropoli italiane.

Il pianeta musicale africano si presenta estremamente variegato e complesso. Le tradizioni musicali autoctone sono fiorite in seno a comunità che costituivano fino a un tempo abbastanza recente unita politiche e culturali autonome, spesso isolate fra loro e dal mondo esterno. Questo spiega il gran numero di varianti esistenti persino in uno stesso sistema musicale. Tuttavia, pur non costituendo un quadro unitario, le tradizioni musicali autoctone rappresentano un complesso di stili con caratteristiche strutturali comuni e procedure di fondo simili.

Queste brevi annotazioni non pretendono alcuna originalità. Sono spigolature in opere consacrate alla presentazione della musica africana, in particolare in quelle citate nella bibliografia. Esse si avvalgono anche di esperienze personali – ahimË ormai lontane – di musiche e danze africane comuni nella regione dei Grandi Laghi (Zaire-Rwanda-Burundi-Tanzania). Il loro intento Ë quello di tracciare a grandi linee l’ambiente storico, sociale e culturale che fa da sfondo alla musica africana e alle sue concrete espressioni. Si passeranno in rassegna in rapida sequenza influenze, forme tradizionali, forme moderne, strumenti, stili e artisti, senza dimenticare di evidenziare volta a volta valori, problemi e prospettive.

Per maggiore semplicità, al termine delle citazioni si indicherà il solo nome dell’autore seguito dal numero di pagina. Il riferimento sarà ovviamente all’edizione indicata nella bibliografia.

Parma, 1 ottobre 1997


 

 I. UNA RETE DI RECIPROCHE INFLUENZE

Uno stereotipo diffuso vuole che l’Africa sia rimasta fin quasi ai nostri giorni un continente isolato e inesplorato, misterioso e impenetrabile, senza contatti con l’esterno e del resto talmente povero di storia e di cultura da non poter offrire assolutamente nulla al resto dell’umanità.

In realtà, fin dai tempi più lontani l’Africa Ë stata, almeno in parte, un luogo di incontri e di interscambi, un crocevia di influenze attive e passive. Come notava LÈopold Sedar Senghor, essa ha tenuto onorevolmente il suo posto alla tavola del dare e del ricevere. L’Africa ha intrattenuto da sempre vivaci scambi commerciali con i paesi del Mediterraneo, del Vicino Oriente e del sud-est asiatico. Le popolazioni del Corno d’Africa (Somalia, Etiopia) hanno avuto interscambi con le civiltà egiziana, araba e mediterranea. Le popolazioni costiere dell’Africa orientale hanno avuto contatti regolari con i commercianti arabi, i quali si sono spinti a volte fino al Congo. Questi scambi commerciali e culturali fra le popolazioni africane e le popolazioni arabe furono particolarmente intensi nell’Africa occidentale e settentrionale.

L’Africa non Ë un continente culturalmente omogeneo. Dal punto di vista delle tradizioni musicali – il tema che qui ci interessa – puÚ essere distinto grosso modo in tre grandi aree:

– L’Africa settentrionale, comprendente i paesi del cosiddetto Maghreb, ma anche la Libia, l’Egitto, il Sudan settentrionale, la fascia dei paesi del Sahel (stati islamizzati), le coste fino al Golfo di Guinea ad occidente e a Zanzibar ad oriente, ha conosciuto una forte influenza islamica;

– L’Africa meridionale, comprendente il Sud Africa, ma anche la Namibia, la Rodhesia [oggi Zambia, Zimbabwe], l’Angola e il Mozambico, ha subito una forte influenza occidentale, dovuta a numerosi e vasti insediamenti di coloni e alla presenza di numerose chiese cristiane di origine europea;

– L’Africa centrale o sub-sahariana, comprendente gli stati della fascia mediana del continente, Ë l’area meno influenzata dagli stili musicali provenienti dal di fuori e quella in cui si trova ancora, a volte allo stato puro, la musica africana tradizionale.

Tutto questo ha avuto delle influenze anche nell’ambito specifico delle tradizioni musicali. Musicalmente parlando, l’Africa ha subito influenze arabe e occidentali e ha influenzato, a sua volta, sia il mondo arabo che quello occidentale.

 

1. Influenze da e verso l’islam

 

Le influenze reciproche più rilevanti fra la tradizione musicale africana e quella islamica hanno interessato anzitutto e soprattutto l’Africa settentrionale. Anche se in questo caso l’Africa ha ricevuto molto più di quello che ha effettivamente dato, si tratta sempre comunque di un interscambio culturale. A fronte di strumenti e stili musicali ricevuti stanno strumenti e stili musicali ceduti. Forse con un’opportuna distinzione fra il livello popolare e il livello colto. Anche a livello popolare si Ë registrata una grande diffusione di generi e stili provenienti dal Vicino Oriente e dall’Arabia, ma l’influenza determinante Ë stata quella della “musica classica araba”, un genere che affondava le proprie radici nella cultura araba pre-islamica e di cui si erano fatte promotrici le corti dei tre grandi califfati di Damasco, Baghdad e Cordova. Inizialmente proposto nelle piazze e nei mercati da cantori itineranti, che si accompagnavano con il tamburo, il liuto e il flauto di canna, questo genere musicale raggiunse un elevato grado di raffinatezza e accolse, con il diffondersi della dominazione islamica, anche influenze esterne. Il divieto della musica, classificata dalla legge coranica fra i “piaceri proibiti”, non impedì alla musica araba classica di affermarsi sempre più nelle corti, le quali cominciarono a proteggere i musicisti, sponsorizzare i loro complessi e curare anche la produzione dei primi grandi trattati di teoria musicale.

Nel Nord Africa la musica classica araba non giunse direttamente dai paesi arabi del Vicino Oriente, bensì dalla Spagna, dal califfato di Cordova, dove si era ulteriormente arricchita di elementi propri della cultura spagnola in genere e di quella andalusa in particolare (stile occidentale o andaluso). Con il passare del tempo essa si amalgamÚ con elementi tradizionali locali, dando luogo a tre correnti (marocchina, algerina, tunisina) abbastanza distinte. L’estrema varietà di modi della musica araba classica fu ridotta e semplificata, ma conserva le sue caratteristiche di fondo: monofonia ed eterofonia, modi ritmici e melodici, combinazione di musica e linguaggio (soprattutto poesia). L’esecuzione musicale era costituita in genere da un susseguirsi di brani vocali, aperti da un preludio strumentale e separati da interludi strumentali. Non di rado i brani musicali venivano associati a un complesso sistema di elementi extra-musicali di genere mistico o perseguenti una finalitý terapeutica. Normalmente si usavano gli strumenti musicali tradizionali: liuto ad arco, violini, viole e un piccolo tamburo.

In questo scambio, certamente ineguale, l’Africa arricchì la tradizione musicale araba cedendole il proprio tamburo ganga e insegnandole il ritmo e la tecnica del “botta e risposta” (schema antifonale). Del resto, a livello popolare l’influenza musicale islamica fu sempre molto contenuta e in questo campo si registrÚ piuttosto un prevalere dell’influenza africana autoctona.

D’altra parte, quest’interscambio fra la tradizione musicale africana e quella araba non giovÚ solo all’Africa e al mondo islamico, ma anche all’Europa. Scrive Curt Sachs: “Quasi tutti gli strumenti musicali dell’Europa medievale vennero dall’Asia… o dall’impero islamico, attraverso il Nord Africa… Sembra che il contributo diretto della Grecia e di Roma si possa considerare insignificante, e la lira pare il solo strumento che si possa considerare originario dell’Europa” (Kwabena Nketia, 21).

 

2. Influenze da e verso l’Europa

 

I canali di penetrazione e diffusione dell’eredità musicale europea in Africa sono stati soprattutto tre: il commercio, il cristianesimo e la colonizzazione (funzionari, militari e coloni). L’area geografica che ha risentito maggiormente di questa influenza Ë quella dell’Africa meridionale, dove si Ë registrata una massiccia emigrazione europea, con la presenza di nutrite e ben organizzate amministrazioni pubbliche, forze armate e chiese. Anche nell’Africa occidentale, colonizzata dagli inglesi e dai francesi, si Ë registrata una notevole influenza europea. Anche qui le influenze sono state in un primo tempo a senso unico (dall’Europa verso l’Africa), ma – diversamente da quanto Ë avvenuto nell’Africa islamizzata – hanno prodotto ben presto un vero interscambio e hanno finito per far pendere il piatto della bilancia dalla parte del dare (dall’Africa verso l’Europa e l’Occidente).

Nella prima fase – quella del ricevere – un ruolo notevole hanno giocato le bande di ottoni, sia militari che dei corpi di polizia, le musiche popolari importate dai coloni, le canzoni del mare introdotte sulle coste dai marinai di passaggio, soprattutto americani, le musiche e i canti in uso nelle chiese. Possiamo dire che furono proprio le chiese cristiane a svolgere, nel bene e nel male, un ruolo determinante, tanto più che ad esse erano affidate le scuole e l’educazione dei ragazzi e dei giovani. Inizialmente, esse tentarono di scoraggiare con ogni mezzo la musica tradizionale africana, fonte secondo loro di paganesimo, idolatria, licenziosità morale, e di sostituire l’uso del suo strumento principale, il tamburo, con la chitarra e altri strumenti musicali occidentali. Giunsero persino a vietare ai loro fedeli non solo di eseguire musica tradizionale africana e di parteciparvi attivamente sotto qualsiasi forma, ma anche di ascoltarla. I colonizzatori in genere e i missionari in particolare vedevano nella musica occidentale un ottimo strumento educativo, un mezzo per inculcare l’ordine e l’equilibrio, educare i sentimenti e tenere a bada quelle passioni che erano invece scatenate dai ritmi improvvissati e sfrenati della musica africana. Nelle chiese, nei forti, nel castelli, nelle scuole i colonizzatori imposero agli africani di suonare le melodie della loro terra di origine. Incoraggiati dai funzionari, dai militari, dai commercianti, gli inni nazionali e i canti patriottici occidentali, eseguiti dalle bande musicali dell’esercito e dei corpi di polizia, si diffusero a macchia d’olio in tutto il continente. Fino alla massiccia introduzione delle chitarre elettriche in molti paesi dell’Africa orientale Ë continuata una forma di danza competitiva (beni) derivata dalla musica per bande di ottoni e popolare.

La seconda fase – quella dell’interscambio – Ë stata avviata, prima timidamente e poi sempre più decisamente, dal processo della decolonizzazione. Esso ha risvegliato in tutto il continente una spasmodica ricerca dell’identità africana (negritudine, ritorno alle radici), che ha prodotto anche un nuovo interesse per la musica tradizionale africana. Anche se si dovrà attendere l’epoca delle indipendenze per assistere a un crescente ritorno della musica tradizionale africana, e dei suoi strumenti, nelle chiese, nelle scuole, nelle manifestazioni ufficiali della vita politica e sociale. L’ondata di nazionalismo che ha investito il continente africano a partire dagli anni ’50, con la riscoperta della negritudine e l’accentuazione dei valori e delle tradizioni africane in campo culturale, politico e sociale, ha consentito la rinascita della musica africana tradizionale e ha posto le premesse della sua successiva esportazione verso l’Europa e l’Occidente.

L’avanguardia di quest’influenza di ritorno sono stati negli anni ’60 i molti che sono rientrati dagli ex paesi coloniali e che avevano finito per apprezzare e amare la musica africana e lo sparuto gruppo di artisti che, ancora in epoca coloniale, ma soprattutto all’indomani dell’indipendenza dei loro paesi, ha costituito per cosÏ dire una testa di ponte nelle rispettive metropoli (Parigi, Londra, Bruxelles, Lisbona) cominciando a familiarizzare anche gli estranei con la magia dei loro ritmi e dei loro ruoni.

 

3. Influenze da e verso il Nuovo Mondo

 

Fu la tratta degli schiavi a spianare la strada all’ingresso della musica africana tradizionale nel Nuovo Mondo (Stati Uniti, Cuba, Caraibi, Brasile), dove si fuse con elementi locali producendo originali e fortunate tradizioni sincretistiche. Di qui essa ritornÚ nelle sue terre di origine, dove potÈ attecchire facilmente proprio a causa della sua “aria di casa” e rivitalizzare la stessa musica autoctona. Fra i generi di ritorno rimasti a lungo in voga in Africa possiamo citare: la caretta, una danza con “figure” introdotta a Lagos dagli schiavi liberati provenienti dal Brasile e da Cuba; il dixolypso, fusione di musiche africane e caraibiche, che si diffuse a partire dalla Sierra Leone; la cadence, musica da ballo di Guadalupe e Martinica, che ha influenzato lo zouk; la pachanga, musica da ballo di origine latino-americana, molto popolare in Africa negli anni ’40 e ’50; la musica moderna hi-tech delle Antille.

 

4. Un mondo musicale in rapida evoluzione

 

Naturalmente, le influenze cui abbiamo brevemente accennato presentano una diversa velocità di acquisizione e un diverso grado di intensità a seconda degli ambienti e delle situazioni. Possiamo dire in generale che sono state rapide e intense nelle città costiere e nelle zone industriali della parte occidentale dell’Africa, più lente e meno intense nell’Africa orientale e meridionale, dove c’era una maggiore presenza di bianchi, e quasi inesistenti nelle zone rurali e nelle aree islamizzate. D’altra parte, l’Africa non si Ë mai limitata ad accoglierle passivamente. In genere, le ha adattate alla propria visione culturale, fondendole e amalgamandole nel crogiolo della propria tradizione musicale. I generi di importazione che hanno avuto maggior successo sono stati la rumba, il cha cha cha, il bolero, il mambo, ritmi che si diffusero ampiamente in Africa a partire dagli anni ’40 e ’50. Sempre in generale si puÚ dire che la parte dell’Africa colonizzata dagli inglesi (indirected rule) ha permesso un maggior fiorire di musiche africane e contaminazioni, mentre nell’Africa colonizzata dai francesi, dai belgi e dai portoghesi Ë resistita più a lungo la tradizione della musica occidentale.

Ma il mondo musicale africano Ë un mondo in rapida evoluzione. Anche lý dove le reticenze nei riguardi della musica africana sono perdurate più a lungo (ambienti militari, chiese cristiane, scuole confessionali) si assiste oggi a un progressivo adeguamento. E’ in corso un generale ritorno agli strumenti musicali africani tradizionali, senza rinunciare a certi strumenti occidentali, in particolare la chitarra.

Si possono citare, ad esempio, le danze highlife del Ghana e della Nigeria, lo stile chitarristico dell’Africa orientale, lo stile jazzistico “afro” del Sud Africa, le danze congolesi (con chiare influenze latino-americane) in Africa centrale e orientale. Si sta progressivamente realizzando un nuovo genere di musica africana, che associa strutture melodiche e ritmiche africane e tecniche e strumentazioni musicali occidentali.

II. MUSICA TRADIZIONALE E VITA DELLA COMUNITA’

Diversità nell’unita

 

Qui prendiamo in considerazione soprattutto l’Africa centrale o subsahariana, la sola che presenti una tradizione musicale autenticamente autoctona. D’altra parte, l’estrema varietà di forme ed espressioni musicali che si riscontra in quest’area Ë sottesa da innumerevoli elementi comuni, ciÚ che ha indotto J.K. Kwabena Nketia, etnomusicologo del Ghana, ha definire lo studio della musica africana tradizionale dell’Africa subsahariana come “studio della diversità nell’unita”. Qui più che altrove si registra una sorta di unita nella diversità. Ogni popolo possiede una propria variante musicale, ma si tratta appunto di una variante che fiorisce su un ceppo comune.

L’unitý Ë data da un comune sentire, da uno stesso atteggiamento di fronte alla vita, al mondo invisibile e al mondo visibile, incrementato e approfondito dall’osmosi culturale prodotta lungo i secoli fra i vari popoli da rapporti commerciali, relazioni diplomatiche, conquiste militari, imitazioni e contaminazioni. Sulla scia degli scambi economici, culturali e religiosi, anche gli stili e gli strumenti musicali hanno spesso varcato i confini di un’etnia, o anche di un’intera regione, e hanno assunto una valenza più vasta. Particolarmente evidente Ë, al riguardo, la migrazione degli strumenti musicali. Anche se certi autori preferirebbero parlare di tradizioni musicali (al plurale), a noi sembra che quest’unitý di fondo giustifichi ampiamente, in questo caso specifico, l’uso del singolare.

La diversità Ë dovuta il più delle volte a fattori ambientali (savana, foresta, laghi, mare), storici (grandi regni o piccole e piccolissime etnie), sociali (società altamente gerarchizzate o società praticamente prive di distinzioni interne), religiosi (abbondanza di culti e riti ufficiali o assenza degli stessi).

E’ stato detto che l’africano Ë dotato di un innato talento musicale, che ha la musica nel sangue. CiÚ Ë certamente vero. Non che non esistano in Africa persone stonate, persone poco o punto dotate per la musica, persone poco sensibili al ritmo e poco interessate alle esecuzioni musicali. Ma si puÚ tranquillamente affermare, in linea generale, che la musica accompagna l’africano dalla culla alla tomba e che Ë un ingrediente ricorrente, pressoché obbligato, di ogni atto della vita pubblica e privata. Dice F. Bebey, il celebre cantautore del Camerun: “Canta e danza e vivi e ridi e sii felice… Ecco la lezione del mio popolo. Nero dall’ovest all’est e fino al Capo di Buona Speranza. Popolo di pene e di gioie tutte intrise di musiche e danze. Per far nascere il bambino. Per aiutarlo a crescere e a vivere una lunga vita da uomo. Per aprirgli, alla fine le porte di un’altra vita, quando avrà chiuso gli occhi per vederci meglio” (Tosi, 5). E continua: “I neri d’Africa continueranno a vivere grazie alla musica, la ritmo, alla danza. Eternamente. Dai secoli passati fino ai millenni avvenire” (ibid., 6).

 

Funzione della musica

 

In Africa, la musica non mira prioritariamente al relax, allo svago, all’intrattenimento – restando cosÏ tutto sommato opzionale – ma svolge svariate e fondamentali funzioni di natura informativa, educativa, culturale, etica e religiosa. La musica presiede ai momenti importanti della vita del singolo (nascita, circoncisione, iniziazione, matrimonio, malattia, morte e sepoltura), della comunità (commemorazioni, celebrazioni, riti, feste), di particolari associazioni e raggruppamenti in seno alla comunità (cacciatori, pescatori, pastori). Presiede all’educazione dei ragazzi e dei giovani e all’educazione delle ragazze e delle future madri. Ricapitola le tappe fondamentali della vita del gruppo e cementa la coesione e l’unione fra tutti i suoi membri. Rafforza il ruolo dei re e dei capi e facilita l’esternazione del rispetto e della gratitudine nei loro confronti.

Nella società tradizionale la musica puÚ essere esercizio individuale, ma Ë soprattutto evento sociale e socializzante. La sua funzione principale Ë quella di esprimere e consolidare le comuni tradizioni, credenze, scale di valori e di consolidare l’intesa fra persone che sono già variamente legate da molteplici vincoli parentali e comunitari. I suoi attori e fruitori sono i membri di una famiglia, di un villaggio, di un clan, più raramente i membri di più villaggi o di una intera etnia. L’esecuzione musicale Ë ristretta in genere al villaggio o a specifici gruppi di persone che vi risiedono.

Il concetto tipicamente occidentale dell’arte per l’arte Ë praticamente assente nella cultura africana tradizionale. Anche il solista, strumentista o cantante, suona e canta raramente per puro diletto personale. La musica coltivata come passatempo e come gioco non Ë frequente in Africa. può farlo il pastore che resta a lungo presso il suo gregge e canta e suona per diletto, fabbricando personalmente rudimentali strumenti musicali (flauto, sanza, liuto). può farlo la donna di casa come antidoto alla noia mentre svolge le proprie faccende domestiche. può farlo più raramente chi ha perduto una persona cara e dý libero sfogo, cantando e suonando in solitudine, al proprio dolore. Ma già il canto delle donne che pestano la manioca nel mortaio o quello delle squadre dei lavoratori impegnati in un campo persegue uno scopo concreto: sincronizzare i battiti per ottenere un suono meno sgradito all’orecchio o semplicemente dimenticare la fatica e rendere maggiormente sul lavoro. La ninna-nanna che la madre canta al bambino non mira solo a tranquillizzarlo o ad addormentarlo, ma a ricordare mediante le parole del testo qualche particolare dovere o atteggiamento anche a se stessa o agli astanti, non certo al bambino che non Ë comunque in grado di comprendere. Lo strumentista o il cantante che suona o canta in solitudine si sta certamente esercitando in vista di una pubblica esecuzione.

La musica Ë per sua natura pubblica, finalizzata alle celebrazioni comunitarie e alle assemblee ufficiali. La scelta del tipo di musica da eseguire dipenderý proprio dalla circostanza sociale che essa Ë incaricata di accompagnare e commentare. A prima vista si potrebbe pensare che strumentisti e cantori africani abbiano un ampio margine di discrezionalitý nella scelta dei loro brani strumentali e vocali e che nel corso dell’esecuzione possano abbandonarsi largamente all’improvvisazione. In realtý non Ë cosÏ. Non ogni musica Ë adatta per ogni circostanza. Ogni particolare occasione comporta tradizionalmente la “sua” musica. E del resto i capi della comunitý esercitano un notevole controllo sulla scelta della musica da eseguire nelle occasioni ufficiali e sugli strumenti da utilizzare in quella particolare circostanza. Si tratta in genere di musica a destinazione specifica e vincolata, per cui non puÚ essere eseguita in altri contesti. I tamburi reali, ad esempio, potevano essere suonati solo in determinate occasioni e solo da persone designate a tale scopo. Solo eccezionalmente e con il permesso del re si potevano suonare in occasioni non esplicitamente previste e codificate.

La relazione che i popoli africani intrattengono con la musica Ë molto variegata e non puÚ essere ridotta a un unico schema. Non tutti usano la musica allo stesso modo e nelle stesse circostanze. Presso certe popolazioni, ad esempio, il rito matrimoniale comporta un accompagnamento di musiche e canti, mentre presso altre non lo comporta. La tipologia delle circostanze che richiedono un accompagnamento musicale strumentale e/o canoro Ë molto varia. Essa include normalmente le seguenti:

– riti e cerimonie in onore di spiriti e divinitý, come accompagnamento di preghiere, offerte, processioni;

– riti e cerimonie collegati con i momenti di passaggio nella vita del singolo: nascita, circoncisione, iniziazione (di ragazzi e ragazze), matrimonio, sepoltura;

– celebrazioni di particolari categorie di persone: pastori, cacciatori, guerrieri;

– ricorrenze e feste comunitarie, sottolineate da canti e danze a carattere commemorativo, informativo, didattico o a scopo di intrattenimento e svago.

 

Tempi e luoghi della musica

 

Non ogni tempo Ë buono per fare musica. Presso diversi popoli vige il divieto di fare musica durante i tempi consacrati comunemente al lavoro, certamente per non distogliere l’attenzione dalle occupazioni e dal rendimento. I tempi privilegiati della musica sono le grandi ricorrenze della vita del villaggio e soprattutto le sere di luna piena, quando la comunitý del villaggio si riunisce attorno al falÚ per scambiare informazioni, ascoltare storie, indovinelli, cantare e danzare.

Praticamente ogni luogo Ë adatto per fare musica. Si puÚ suonare e cantare in ambienti chiusi, a beneficio di un numero ristretto di partecipanti (re o capitribù, dignitari e funzionari di corte, membri di un’associazione segreta, di un gruppo di coetanei, di un gruppo di persone esercitanti la stessa professione, devoti di una stessa divinitý o di uno stesso tempio), ma lo si fa più spesso all’aperto, a beneficio di tutti. Il luogo privilegiato della musica Ë la piazza del villaggio o un qualche spiazzo nelle vicinanze del villaggio.

 

Principali caratteristiche della musica africana

A prima vista le musiche africane possono sembrare dei “rumori organizzati”. Ma in realtý esse sono ben più di questo. I vari tentativi di caratterizzazione della musica tradizionale dell’Africa sub-sahariana sottolineano in particolare questi aspetti fondamentali:

1) Centralità del ritmo. Mentre la musica occidentale privilegia l’armonia e la melodia, la musica africana accorda un’indiscussa priorità al ritmo. Ritmi brevi e ripetitivi che emergono in primo piano e prevalgono chiaramente sull’armonia e sulla melodia. A tale scopo ricorre all’uso dei tamburi e soprattutto degli strumenti idiofoni non melodici (vedi sotto). Anche gli strumenti che hanno di per sÈ una funzione melodica vengono spesso usati in funzione ritmica. Per questo i percussionisti sono considerati più importanti dei cantanti e i ritmi più imporanti della voce.

 

2) Prevalenza di strutture ritmiche complesse. La musica africana non si accontenta di una struttura ritmica semplice e lineare, ma ricorre abbondantemente a moduli ritmici antitetici e incrociati, che sovrappone a una struttura portante sottostante (marcatempo), suonandoli assieme ad essa e variandone continuamente le coordinate metriche nel corso dell’esecuzione. Anche il modulo base non segue sempre uno stesso metro, ma tende a slittare verso diverse strutture ritmiche in funzione di sostegno o di contrasto. CosÏ si crea l’impressione di ritmi in continua trasformazione. Kwabena Nketia parla di “ambiguità del metro ritmico” e nota che anche nel linguaggio musicale, come nel linguaggio in genere, l’africano rifugge da enunciazioni dirette, preferendo girare attorno all’oggetto e avvicinarsi ad esso progressivamente, senza mai prenderlo di petto, ma limitandosi ad alludere, suggerire. A produrre questo effetto contribuisce anche l’accordatura sommaria degli strumenti, non per mancanza di capacita e abilita tecnica, ma come risultato volutamente inteso. Gli artisti africani evitano, ad esempio, un’accordatora standardizzata dei loro xilofoni.

 

3) Adattamento della musica alle circostanze. E’ questo, come abbiamo notato già sopra, un aspetto fondamentale dell’esecuzione strumentale e vocale della musica africana tradizionale. Esistono in Africa molte musiche specifiche associate a determinate circostanze e non eseguibili al di fuori di esse: canti dei rematori, dei taglialegna, dei cacciatori, ninne-nanne, musiche per cerimonie rituali, canti di intrattenimento. In tutti questi casi l’ambito di manovra dell’esecutore Ë limitato. Egli deve attenersi a canoni preordinati, suonare o cantare ciÚ che Ë prestabilito. CiÚ vale soprattutto nel campo delle cerimonie religiose e nelle celebrazioni ufficiali di particolari eventi relativi alla storia e alla vita del popolo. Questo non esclude ovviamente l’esistenza di musiche “libere”, liberamente eseguibili e adattabili a varie circostanze.

 

4) Partecipazione corale. La musica africana tradizionale Ë normalmente un evento comunitario, che esige in quanto tale la partecipazione dell’intera comunità o di tutti i membri del gruppo o dell’associazione che la richiede. Raramente la musica tradizionale comporta un’esecuzione di tipo concertistico o cabarettistico, con una chiara distinzione fra esecutori e ascoltatori, attori e spettatori. Essa esige un’esecuzione corale, sinergica, al punto che risulta difficile individuare gli attori o interpreti principali. Si opera un certo livellamento, per cui anche il professionista o la persona musicalmente dotata scompare nella folla. Nessun singolo svolge un ruolo a sÈ stante, autonomo e autosufficiente. La completezza, la pienezza risulta dall’insieme, dal concorso di tutti e la parte di ciascuno acquista senso solo nel più ampio quadro generale. Anche il semplice battere le mani o i piedi o ogni altra forma di gestualità, per quanto modesta, contribuisce all’armonia del tutto.

 

5) Centralità del messaggio. Il centro Ë occupato dal messaggio, non dallo strumentista, dal cantante e dai loro virtuosismi. L’esecuzione musicale non Ë fine a se stessa, ma mira a trasmettere un messaggio. Non l’arte per l’arte, ma l’arte per celebrare, informare, istruire, educare… La musica ha una profonda valenza culturale. Essa fa da contrappunto agli eventi della vita quotidiana a livello individuale, familiare, comunitario. Il suo compito principale Ë quello di tramandare tradizioni, miti, riti, storia e di inculcare i valori propri del gruppo cui si appartiene. Nota F. Bebey: “Sempre la musica, il ritmo e la danza, reinventando l’uomo, rinnovano” (Tosi, 6).

Chi accusa la musica africana di essere statica, ripetitiva. monotona, dimentica che l’artista, strumentista o cantante, deve muoversi entro precisi binari e conservare sempre il senso della misura. può e deve certamente evitare un’esecuzione noiosa, con opportune variazioni attorno al tono di fondo, ma deve anche evitare di sorprendere e distrarre dal messaggio con un’esecuzione concitata basata su bruschi cambiamenti di moduli e toni. Deve dimostrarsi sempre vigile, controllato, preoccupandosi molto più della finezza e della qualità dell’esecuzione che non di attirare l’attenzione su se stesso e sbalordire con inutili virtuosismi. Non si tratta infatti di far sfoggio di una “bella voce” o di “solleticare le orecchie”, ma di “vivere e far vivere i suoni”, cercando di esprimere mediante lo strumento o la voce la vita in tutta la sua pienezza e nella molteplicitý dei suoi aspetti: toni dolci in una ninna nanna, duri e aggressivi in un canto di guerra, sarcastici in un canto satirico, ilari e giocosi in un canto finalizzato all’intrattenimento. Chi suona, canta, danza, deve lasciarsi trasportare in una corrente di energie e di vita e aiutare gli altri a fare altrettanto. Tutto deve essere quindi estremamente misurato e sorvegliato. Anche la gestualità deve essere creativa, allusiva, più che esplicita. Deve esprimere i moti dell’anima, liberando compostamente le emozioni che affiorano in essa. Per la mentalità africana non si tratta di “suonare il tamburo”, ma di toccare il suono del tamburo, di toccare l’intangibile e cosÏ allenarsi a vedere l’invisibile. E quella ripetizione che gli occidentali trovano spesso noiosa ha un profondo significato filosofico ed esistenziale. Esprime l’eterno, variato ritorno dell’identico, il continuo variegato ricominciare della vita del cosmo e in esso dell’uomo. Lo straordinario intreccio di suoni, ritmi, voci, gesti, non esprime semplicemente la musica, ma la vita. La musica africana Ë anzitutto un inno alla vita e uno strumento al servizio della vita.


 

III. FORME DELLA MUSICA TRADIZIONALE

Le forme della musica africana tradizionale non sono molto numerose. Comprendono per lo più forme che si trovano anche in altre tradizioni musicali, compresa quella occidentale.

Le forme musicali presentano elementi melodici e ritmici, lineari e multilineari, con una netta preferenza per gli elementi ritmici. L’elemento base di tutta la musica africana, comprese le forme melodiche e le più rare forme polifoniche, Ë quello ritmico. La musica africana privilegia l’uso di strumenti a percussione e, di conseguenza, il ritmo sia lineare che multilineare.

La forma musicale tradizionale ha una forma breve e stabile, basata fondamentalmente sulla ripetizione, che ritorna tale e quale o con molteplici variazioni. In genere, uno strumento disegna figure ritmiche o melodiche semplici, che ritornano continuamente senza variazioni, e su di esse si innestano altri strumenti, che tracciano figure variabili o limitatamente improvvisate. La scala più usata Ë quella pentatonica, ma si spazia normalmente fra quattro e sette toni. Il ritmo Ë sincopato: successione di un tempo forte e un tempo debole. Nella musica tradizionale le armonie non sono mai troppo complesse. Non esistono testi musicali scritti. Si suona ad orecchio e a memoria.

Abbiamo già sottolineato come nella società tradizionale l’esecuzione musicale persegua abitualmente scopi informativi, formativi, didattici. Essa sarà quindi di norma associata al linguaggio. Le società tradizionali usano la musica come veicolo di informazione, apprendimento, rivisitazione di miti, riti, tradizioni, riproposizione di proverbi, leggi, storia, usi, costumi. D’altra parte, nelle culture basate sull’oralità la parola occupa un posto del tutto privilegiato. Essa non serve solo ad esprimere qualcosa, ma a creare, a conferire un senso. La parola Ë piena di energia, intrisa di forza vitale. Crea, distrugge, governa, regola, giudica. E acquista una forza particolare quando viene associata alla musica, al canto e alla danza.

Kwabena Nketia definisce i griot, e per estensione gli strumentisti e i cantanti, i grandi “contenitori della memoria collettiva”, i preziosi, insostituibili depositari della cultura della parola.

Dal punto di vista dell’esecuzione le principali forme musicali sono le seguenti:

 

1. Esecuzioni strumentali. Gli elementi base delle composizioni sono l’armonia (di terze, simile a quella occidentale, o di quarte e quinte diatoniche), la polifonia sia omofonica (stesso ritmo) che contrappuntistica (variazioni di ritmo), la poliritmia (coesistenza di due o più ritmi distinti). Nelle aree influenzate dall’islam alla semplice armonia si preferisce di gran lunga l’eterofonia, cioË l’esecuzione simultanea di più versioni di una stessa melodia.

Anche le esecuzioni strumentali hanno un loro linguaggio e veicolano dei messaggi che vanno ben oltre quello dei click (far schioccare la lingua) e dei brevi e sporadici interventi verbali da parte degli strumentisti, che servono piuttosto da partiture verbali di ritmi musicali o come elementi mnemonici per l’insegnamento e la memorizzazione dei ritmi degli strumenti. Il linguaggio e i messaggi dei tamburi parlanti sono ben noti in tutta l’Africa occidentale.

 

2. Esecuzioni strumentali associate alla danza. La danza, come forma espressiva delle emozioni e dei sentimenti e come mezzo di educazione della gestualità e del carattere, Ë comunemente praticata da tutti i popoli africani. Essa comporta di sua natura un accompagnamento musicale specifico e di fatto esistono in Africa molte musiche composte a tale scopo. I popoli africani non amano il genere di musica che richiede di assumere un atteggiamento contemplativo, di giocare il ruolo di spettatori. Preferiscono le musiche che stimolano una reazione motoria, un coinvolgimento dell’anima e del corpo. L’evento musicale deve tradursi in un’esperienza integrale, coinvolgente, richiedente una risposta sia verbale che fisica. Solo cosÏ infatti si possono veramente liberare le emozioni e cementare l’unione del gruppo.

D’altra parte, la danza ha anche una valenza simbolica ed artistica. Deve soddisfare certi canoni estetici, ma deve soprattutto esprimere mediante gesti simbolici tutta una gamma di emozioni, sentimenti, valori, atteggiamenti esistenziali. Scrive Kwabena Nketia: “Quando un danzatore indica il cielo con la mano destra o con entrambe le mani in un danza akan, vuole dire: “Io guardo verso Dio”. Quando appoggia il suo indice sinistro sulla testa, significa: “E’ un problema per la mia testa, una cosa cui devo pensare seriamente, una cosa che devo risolvere da solo”. Se poggia il suo indice destro sotto l’occhio destro, sta dicendo: “Non ho nulla da dire, vedo come vanno le cose”. Quando con un movimento di rullo porta entrambe le mani verso di sÈ e quando tende il suo braccio destro contemporaneamente agli ultimi battiti della musica, vuole dire: “Se me le legate con corde, io le spezzerà”” (211).

 

3. Esecuzioni strumentali e vocali. E’ la forma di esecuzione musicale più frequente. Qui la musica accompagna il canto, ma anche il semplice “parlato”. Lo strumento musicale puÚ accompagnare anche la recita di testi non musicali, come proverbi, racconti relativi alle genealogie reali, appelli al popolo, comunicazione di notizie, propiziazione degli spiriti, scongiuri in caso di malattia. Normalmente comunque esso viene associato al canto, che puÚ essere affidato a cantanti indipendenti o eseguito dagli stessi strumentisti.

La forma più diffusa e ricorrente di queste esecuzioni Ë quella basata su flauti e coro o su tamburi e coro. A seconda delle circostanze puÚ prevalere il testo o lo strumento. Ma il rapporto voce-strumento Ë per lo più capovolto rispetto alla nostra tradizione musicale occidentale. Mentre da noi il canto si sforza di imitare lo strumento, nella tradizione musicale africana Ë lo strumento che si sforza di imitare il canto. Lo strumento deve cercare di “ricreare il linguaggio”. Le scale più comunemente usate nel canto sono le stesse della musica strumentale, da quattro a sette intervalli con preferenza per la scala pentatonica.

Le varianti a livello di interventi canori sono molteplici. Si va dal solista, che suona e canta singolarmente o sotto forma di botta e risposta (struttura antifonale, molto usata) fra se stesso e lo strumento, al canto a due (anche quattro) all’unissono o in duetto, al canto di tutto il gruppo o dell’intera assemblea. La forma abituale, tipica delle notti di luna piena, Ë quella dell’alternanza di canti e testi recitati (racconti mitici, racconti della tradizione, racconti di cacciatori, proverbi) nello stile della chiamata e risposta. I testi proposti in assolo o coralmente, sia cantati che recitati, possono assumere anche forme ufficiali, istituzionalizzate (celebrazioni di corte, esecuzione di particolari cerimonie e riti, trasmissione di notizie e messaggi, informazione su particolari esperienze individuali o sociali, presentazione di eventi e problemi di interesse generale, rievocazione di tradizioni, credenze, abitudini, esaltazione di certe virtù e condanna di certi vizi. Abbiamo notato sopra come persino i testi delle ninne-nanne siano un veicolo di insegnamenti e un modo per ricordare ai genitori e agli astanti loro specifici doveri nei riguardi dei bambini.

Scrive Kwabena Nketia: “In molte comunità le storie tradizionali sono narrate combinando reciprocamente l’uso del canto e dell’espressione vocalica orale. Di solito le storie vengono narrate in notti illuminate dalla luna o in occasioni speciali, sia dai bambini che dagli adulti. La persona che ricopre il ruolo prevalente nel raccontare le storie tradizionali Ë naturalmente il narratore, ma egli ha bisogno di una stretta collaborazione da parte del pubblico e anche, talvolta, di individui dotati nel canto, nel suonare i tamburi, nel danzare e nel recitare. Un narratore puù passare dall’emissione vocalica orale al canto in base alle esigenze del racconto… il suo pubblico puÚ, a volte, interromperlo con interludi cantati, se l’azione del racconto, l’intreccio, un personaggio menzionato riportano alla mente di qualche spettatore un canto che si adatti alle circostanze” (182).

Il repertorio dei canti Ë in genere molto vasto. Vi sono repertori di canti propri di singoli gruppi professionali (cacciatori, pescatori, pastori), repertori di canti ad uso cultuale e religioso (canti di lode, invocazione, preghiera), repertori di canti di riflessione e moralizzazione della vita personale e sociale (canti consacrati a temi filosofici, a valori spirituali e morali, a problemi sociali). Ricorrendo ampiamente ad immagini poetiche, allusioni, citazioni, proverbi, i canti illustrano l’atteggiamento da tenere nei riguardi del mondo invisibile, nei confronti delle autorità costituite, nelle normali relazioni in seno alla famiglia, al villaggio, nelle situazioni conflittuali, nei momenti di disagio e di sofferenza. D’altra parte, non manca mai un piccolo repertorio di canti il cui scopo primario Ë quello di divertire, far ridere, prendendo in giro, canzonando, lanciando frizzi, raccontando semplicemente una barzelletta a suon di musica.

Nel repertorio della musica africana tradizionale sono praticamente assenti quei canti di protesta e di denuncia che costituiranno il piatto forte della musica africana moderna dell’ultima fase dell’era coloniale e dei decenni successivi.

 

4. Canzoni degli antenati e rappresentazioni drammatiche. Questi due tipi di esecuzione rivestono una grande importanza nella tradizione musicale africana e meritano un breve cenno a parte.

 

a) Le canzoni degli antenati, chiamate anche, meno giustamente, canzoni storiche, sono molto diffuse nell’Africa occidentale, dove sono fioriti grandi regni. Nascono prevalentemente attorno alle corti reali e principesche. Ricordano il passato della comunità e ne cantano i valori. Mantengono viva la memoria di particolari avvenimenti e di importanti genealogie reali. Celebrano il re o il principe, ne tramandano le gesta e le cronache, ne consolidano mediante il ricordo dei suoi antenati la legittimazione, esortandolo al tempo stesso a seguire l’esempio dei suoi predecessori. Gli interpreti privilegiati delle canzoni degli antenati sono i griot.

b) Le rappresentazioni drammatiche sono composizioni a sfondo mitico, storico e simbolico molto complesse ed elaborate che vengono eseguite in occasioni di particolari riti, cerimonie, commemorazioni e festival. Il loro scopo puÚ essere cultuale, commemorativo o sociale. Assomigliano in certo qual modo alle tragedie della cultura greco-romana. Comportano sempre una stretta interazione di musica strumentale, danza, azione mimica ed espressione vocale.

Ecco come Jack Goody, citato da Kwabena Nketia, descrive un dramma danzato per i funerali di un cacciatore akan: “Quando un cacciatore muore e si svolge il suo funerale, sei uomini, sotto la guida degli anziani del settore del clan, vanno nella casa nella quale v’Ë stato l’ultimo decesso di un membro di quel gruppo. LÏ, nella stalla per i bovini, sono tenute le corna degli animali più grossi e più pericolosi uccisi dagli antenati. Queste corna vengono raccolte e portate in una lenta processione, accompagnati da un fischietto da caccia soffiato dal leader, che di solito Ë il membro più anziano del settore. Quando la processione arriva al luogo del funerale, le punte delle corna vengono conficcate nel terreno davanti al palco. Altri cacciatori presenti si alzano immediatamente e incominciano a battere, agitando il sostegno di un animale selvatico, tendendo l’arco, facendo partire la freccia e, a volte, emettendo delle urla di vittoria. Chiunque desideri mostrare di aver ucciso animali feroci più di quanti ne abbia ucciso il morto, puÚ impossessarsi delle corna e danzare con esse, tenendole al di sopra della testa” (221).


 

IV. GRUPPI E STRUMENTI MUSICALI

La partecipazione agli eventi musicali puÚ essere lasciata alla libera volontà dei singoli o puÚ essere resa obbligatoria dal fatto di discendere da un determinato antenato comune, di essere membri di una determinata associazione o professione, di appartenere a un certo gruppo di età o a un determinato sesso.

 

Gruppi musicali

 

Abbiamo già osservato che l’idea secondo cui l’africano fa musica con la stessa naturalezza con cui respira non Ë del tutto esatta. Alla base di una particolare abilita musicale stanno certamente delle doti naturali, ma anche inevitabilmente un paziente e lungo tirocinio e addestramento. Artisti non si nasce, si diventa, e lo si diventa in genere non alla scuola di determinati maestri, ma in seno ai vari gruppi e alle numerose associazioni musicali. Naturalmente, non mancano qua e lý anche forme specifiche di reclutamento e addestramento dei musicisti e addirittura vere e proprie scuole di danza.

La tipologia dei gruppi e associazioni musicali Ë piuttosto varia. Essa comprende soprattutto queste forme:

 

1) Gruppi spontanei. Questi gruppi si costituiscono in genere in base alle categorie di appartenenza: bambini, adolescenti, iniziandi/iniziati, giovani, ragazze, uomini, donne. Possiedono un repertorio di canti adatto alle condizioni e finalitý della loro categoria. I testi hanno un forte contenuto didattico ed educativo. In questo caso, la partecipazione Ë corale, ma resta limitata ai membri del gruppo. Kwabena Nketia descrive alcuni di questi gruppi e il loro tipico repertorio di canti (pp. 44-47). Ecco, ad esempio, ciÚ che dice a proposito di un rito di pubertà: “Nella comunità akan il rito di pubertà delle ragazze Ë celebrato dalle donne e i canti e la musica del tamburo sono eseguiti da femmine adulte… Le parole che accompagnano la musica non sono soltanto parole di gioia, ma anche parole che sottolineano i doveri e le aspettative della maternità” (44).

 

2) Gruppi organizzati. Sono vere e proprie associazioni musicali che suonano e cantano sia nel contesto delle loro riunioni sia nel più vasto contesto della vita della comunità o di suoi particolari raggruppamenti. Intervengono (a pagamento) a feste, matrimoni, funerali… Eseguono un repertorio di musiche e canti limitato, generalmente fisso. Questi gruppi, a volte sponsorizzati da un capo o da un mecenate, sono vere fucine di creatività e innovazione.

 

3) Strumentisti e musicisti specialisti. Si tratta di persone generalmente legate ai centri tradizionali del potere: corti, capitribù, nobili, singoli mecenati o discendenti di antenati illustri, gruppi professionali e corporazioni (maniscalchi, macellai, cacciatori), con i quali intrattengono un rapporto esclusivo o pressoché esclusivo. Suonano spesso strumenti musicali particolari, dotati di un alto valore simbolico, mistico e artistico (tamburi sacri, arpe sacre). Si specializzano normalmente nel suono di una sola categoria di strumenti. Accompagnano i riti religiosi, presieduti dal re o dal capo tribù (riti ancestrali, riti della pioggia, della semina, del raccolto) e le cerimonie ufficiali, finalizzate a promuovere i valori della coesione, integrazione e solidarietà in seno alla comunità, a mantenere vivo il ricordo delle tradizioni tramandate dagli antenati e degli eventi storici più importanti. Intervengono nelle cerimonie di incoronazione e di trasmissione del potere. Presiedono i momenti musicali legati all’amministrazione della giustizia e alle campagne militari.

Questi musicisti professionisti giocano un ruolo importante nelle corti, dove i re e i capi possiedono e custodiscono i migliori strumenti musicali (cf. tamburi reali del Burundi). Da sempre, e non solo in Africa, la musica, i musicisti e gli strumenti musicali sono segno di prestigio e di potere.

Un musicista specialista molto noto in Africa occidentale (Guinea, Senegal, Gambia) Ë il griot, termine coloniale francese per indicare lo jali, cantore di corte e cantore itinerante. Lo jali svolge il ruolo di intrattenitore e di storico al tempo stesso. E’ per antonomasia il cantore delle lodi e il signore della parola. Un vero professionista che trae dalla propria arte i mezzi per vivere. E’ poeta, filosofo, commentatore dei fatti sociali ed evocatore degli spiriti. “I griot – scrive F. Bebey – seminano chicchi di ottimismo sugli sforzi degli uomini”. Il griot si esercita informalmente nelle tradizioni orali fin da ragazzo. E’ un vero professionista, ma non gli Ë mai stato riconosciuto, probabilmente a causa dell’influenza musulmana, lo status riservato ai grandi musicisti.

 

4) Gruppi sociali. Sono gruppi costituiti in base alla professione. Le loro associazioni possiedono specifici repertori musicali. I guerrieri, ad esempio, hanno addirittura un duplice repertorio strumentale e vocale: uno riservato per le azioni di guerra e l’altro associato ai loro compiti di pace. CosÏ l’associazione dei cacciatori possiede un ampio repertorio di canti, con testi e versi su tema della caccia e degli animali selvatici.

A proposito dell’associazione dei cacciatori Kwabena Nketia scrive: “Fra gli yoruba della Nigeria la musica particolare dei cacciatori Ë la ijala, caratterizzata da un’ampia varietà di testi o versi. Un cacciatore puÚ salmodiarne alcuni mentre si dirige alla macchia, Ma i momenti culminanti delle esecuzioni sono da collegarsi alle occasioni rituali e cerimoniali, distinte in tre precisi momenti. Primo:… il salmodiare precede la spedizione di caccia, che Ë una fase del festival, ma viene anche eseguito dopo la caccia. I cacciatori, a turno, si rivolgono agli astanti e raccontano le loro esperienze di caccia nella macchia e mandano canti di lode a Ogun, alla natura o ad oggetti specifici, come un animale particolare, uccelli, alberi o al cibo che li sostenta durante la spedizione. Secondo: quando i cacciatori si incontrano per intrattenersi reciprocamente o … consolidare i loro legami e rallegrarsi comunitariamente con la musica. Terzo: ci sono le cerimonie del ciclo della vita legate al cacciatore e alla sua famiglia, quando le esibizioni del salmodiare ijala sono sancite dalla tradizione” (53-54).

 

5) Gruppi cultuali. Sono comunità religiose il cui repertorio musicale, strumentale e/o vocale, Ë specificamente finalizzato ai riti e alle cerimonie loro proprie. Fra di esse spiccano le società segrete, con hanno propri segni distintivi, proprie musiche e proprie danze.

 

6) Gruppi a precipua finalitý ricreativa. Questi gruppi, praticamente inesistenti nella tradizione musicale tradizionale, stanno diventando sempre più numerosi e organizzati e costituiscono la principale caratteristica della musica africana moderna. Il loro repertorio Ë incentrato sul suono degli strumenti, sul canto corale e su varie forme di intrattenimento.

 

Strumenti musicali

 

Chiunque intraprenda un viaggio nella musica africana tradizionale non puÚ non restare colpito dall’enorme quantità e varietà degli strumenti musicali. I popoli africani sembrano possedere un’inesauribile capacita creativa, adattativa e innovativa nel campo degli strumenti musicali, una capacita tanto più sorprendente se si considera la povertà dei materiali utilizzati e dei mezzi tecnici per lavorarli.

Dal pastorello, che si crea i suoi rudimentali strumenti, all’artigiano professionista, che realizza i tamburi reali, la fabbricazione degli strumenti Ë un’attività quotidiana dei popoli africani. E la gamma degli strumenti fabbricati Ë pressoché infinita. Estremamente vari per i materiali usati, il disegno, la costruzione, l’accordatura, a diffusione più o meno vasta a seconda delle imitazioni e dei prestiti culturali, gli strumenti musicali dell’area sub-sahariana presentano analoghe caratteristiche di fondo.

In questo breve inventario riprendiamo la suddivisione, ormai classica, degli strumenti musicali in quattro classi:

 

1. Idiofoni. Il nome indica tutti gli strumenti che possono emettere un suono per se stessi, senza l’intervento di altri elementi (membrane, corde, aria). Sono gli strumenti meno complessi, costosi e quindi anche quelli più comunemente diffusi. Ammettono un uso sia musicale che extra-musicale. In campo musicale vengono usati in genere insieme ad altri strumenti. Il loro compito normale Ë quello di rinforzare la base ritmica, ma possono essere utilizzati anche come strumenti melodici.

La gamma degli idiofoni Ë vastissima. Comprende idiofoni a percussione diretta (bastoncini, canne, claves = coppia di bastoncini di legno risonanti), a percussione reciproca (castagnette, piatti), a percussione indiretta (pietre, legni), a percussione a struttura vascolare (campane, tamburo a fessura in legno, sonagli formati da zucche essicate riempite di fagioli o perline), a scuotimento (sonagli, sistri), a raschiamento (raganelle), a pizzico (sanza, scatole musicali), a frizione (sega).

I vari tipi di sonagli possono essere scossi con la mano, applicati al corpo o ad altri strumenti e scossi insieme a questi ultimi.

Gli idiofoni melodici comportano due grandi gruppi: mbira o sanza (una sorta di minuscolo “pianoforte a mano”, formato da una (anche due) serie graduata di lamelle metalliche poste sopra un risuonatore in legno) e xilofoni (costituiti da una serie graduata di lastre di legno montate su una camera di risonanza o su intalaiature in legno). Nella categoria degli xilofoni primeggia il cosiddetto “pianoforte a mano”, diffuso praticamente da un capo all’altro dell’Africa. Esso si presenta in foggie leggermente diverse e viene indicato con vari nomi: balafon nell’Africa occidentale (Mali, Guinea, Senegal), sanza in Africa centrale, likembe nella Repubblica democratica del Congo, mbira nello Zimbabwe.

 

2. Membranofoni. Sono tutti gli strumenti che comportano l’uso di una membrana. Il loro tipico rappresentante Ë il tamburo o tam tam. Nella sua forma originaria e ancora più diffusa, il tamburo Ë costituito da un tronco d’albero scavato e ricoperto da una membrana. Il corpo del tamburo puÚ assumere le forme più svariate: conica, cilindrica, a clessidra, a calice, a paiolo,,, Celebri sono i tamburi parlanti molto diffusi in Africa occidentale, in particolare nel territorio dell’antico impero del Mali. Un tamburo molto diffuso Ë il tamburo quadrato a cornice, popolare in Nigeria e presente in molte parti dell’Africa. Il tamburo puÚ essere spoglio o artisticamente lavorato e decorato. può essere un normale tamburo o assumere particolari significati simbolici. Le membrane sono ricavate dalle pelli di diversi animali: mucche, capre, pecore, antilopi.

Nella musica tradizionale si puÚ usare anche un solo tamburo, ma in genere prevale la coppia e spesso, nelle occasioni solenni, la serie. Il tamburo viene suonato con entrambe le mani, con le bacchette, con una mano e una bacchetta.

 

3. Cordofoni. Sono tutti gli strumenti che ricavano il suono da una corda tesa, pizzicata o sfregata. Esistono cordofani molto semplici, a bastone (archetto musicale) e cordofoni più complessi, a zattera e a guscio. Sono cordofani i liuti (sia a corde pizzicate che a corde strofinate), i violini, le arpe, le arpe-liuto (kora), le lire, gli xalam, piccoli strumenti senegambiani simili alle lire. Particolarmente bella a vedersi e piacevole da ascoltarsi Ë la kora, l’arpa-liuto a 21 corde diffusa in Guinea, Senegal e Gambia.

 

4. Aerofoni. Sono tutti gli strumenti a fiato, nei quali il suono Ë generato mediante l’immissione di aria. Sono strumenti molto diffusi in Africa e si possono ripartire in tre gruppi principali: flauti, flauti di canna (singola o doppia), corni e trombe.

La musica africana moderna usa abbondantemente anche strumenti di origine non africana e praticamente tutti gli strumenti dell’ultima generazione (gli elettrofoni), con una particolare predilezione per la chitarra elettrica.

 

La fabbricazione degli strumenti musicali non Ë un fatto puramente tecnico, dipendente esclusivamente dalla maggiore o minore abilita dell’artigiano. Nell’Africa tradizionale, essa si iscrive spesso nell’ambito religioso e presenta anche specifiche connotazioni politiche. Un tamburo reale, ad esempio, non Ë un semplice strumento in grado di emettere dei suoni. Esso Ë in stretta relazione con gli antenati, la tradizione, i miti e i riti di una particolare etnia e i segni artistici che vi vengono tracciati rivestono un particolare valore simbolico. E’ in qualche modo una realtà vivo, dotata di un’anima e destinata a veicolare non solo l’autorità del re o del capo, ma lo stesso ordine cosmico nel quale esso si iscrive. Il tamburo ha sempre rivestito in Africa anche una grande funzione storica (cf. i tamburi reali del Burundi, i tamburi del Buganda, i tamburi parlanti degli yoruba). Anzi molti autori vedono proprio nel testo dei tamburi parlanti una chiave privilegiata per accedere ai più reconditi segreti della cultura africana ancestrale.

Tutti questi strumenti musicali possono essere suonati a sÈ stanti o combinati insieme in vario modo per ottenere effetti particolari. Alcuni strumenti sono più adatti per le esecuzioni soliste, altri per fare da strumento guida o strumento principale, altri ancora per l’ accompagnamento.

In genere, le associazioni presentano questi schemi:

– solo strumenti melodici a toni definiti: flauti, trombe, o flauti-trombe, liuti ad archetto e liuti pizzicati, o liuti ad arpa-liuti pizzicati, liuti e xilofoni, liuti e lire.

– solo strumenti a toni indefiniti: tamburi (in genere in serie), campane, raganelle, bastoncini, battacchi. L’associazione tipo Ë, in questo caso, la seguente: tamburo principale, tamburo a fessura, altri tre tamburi, un sonaglio.

– combinazione di strumenti melodici e strumenti a percussione: flauti e tamburi, flauti-tamburi-campane, xilofoni-raganelle-bastoncini.

 

V. MUSICA AFRICANA MODERNA: STILI E PROTAGONISTI

La musica africana moderna Ë il risultato dell’incontro fra la musica africana tradizionale e la musica occidentale. Essa presenta alcune caratteristiche fondamentali che la pongono in continuità con la musica africana tradizionale e la distinguono al tempo stesso da quest’ultima.

Anzitutto, il contesto urbano. Il luogo di elezione delle musica africana moderna Ë il contesto urbano. Essa nasce originariamente nei bar, nei cortili, agli angoli delle strade delle grandi città africane, in voluta contrapposizione con la musica di fattura occidentale suonata nei saloni delle residenze ufficiali, nei corpi di polizia, nelle bande militari, nelle assemblee liturgiche. La musica africana moderna occupa gli spazi popolari della città, spesso i suoi quartieri più degradati, e di lÏ si diffonde a macchia d’olio anzitutto nel tessuto urbano e poi anche al di lý di esso.

In secondo luogo, l’uso di strumenti musicali elettrici ad alta tecnologia. La musica africana moderna fa un largo uso di strumenti tecnologici sofisticati di origine non africana, in particolare chitarre elettriche, altoparlanti, sintonizzatori. Anche gli strumenti musicali tradizionali vengono sottoposto a tutta una serie di interventi e migliorie al fine di renderli più efficaci e competitivi.

In terzo luogo, la scena internazionale. I migliori compositori, strumentisti e cantanti africani si impongono sempre più non solo sulla scena continentale, ma anche su quella internazionale. Passano sulle reti radio-televisive dell’intero continente e incidono sempre più i loro maggiori successi con le grandi case discografiche europee e americane. Non solo Lagos, Kinshasa, Nairobi, Cittý del Capo, ma anche Parigi, Londra, New York, Rio de Janeiro.

In quarto luogo l’intrattenimento. La musica africana moderna Ë prevalentemente finalizzata all’intrattenimento, al divertimento (musica da ballo). Ai suoi inizi (colonizzazione e incipiente decolonizzazione) abbondavano i temi incentrati sulla valorizzazione dell’uomo africano e della sua cultura e i temi di protesta e denuncia della colonizzazione, dell’apartheid (soprattutto Sud Africa, Zimbabwe), delle ingiustizie sociali (townships meridionali), che sono andati poi via via assottigliandosi. Oggi si affrontano spesso temi di attualitý.

In quinto luogo, le contaminazioni. I cultori della musica africana moderna mostra una spiccata tendenza alle contaminazioni, alle commistioni. Non si accontentano di proporre la musica africana tradizionale. Anzi ritengono che questa via sia impraticabile e tutto sommato sterile, in quanto puramente folcloristica, obsoleta e inadeguata per esprimere la vita reale dell’Africa moderna. Ricercano espressamente strade e modi che permettano di far agire l’Africa sull’Occidente e l’Occidente sull’Africa. Mescolano con grande abilitý e disinvoltura gli elementi più vitali della cultura tradizionale con le tecniche più moderne. Si preoccupano di stabilire un equilibrio fra la musica occidentale e gli stimoli più validi serivanti dalle loro radici africane. Non imitano pedissequamente. Non importano mai tali e quali i ritmi stranieri e non esportano mai i ritmi africani allo stato puro. Si servono della musica straniera come di un catalizzatore per creare nuove forme e per immettervi soprattutto il meglio della loro tradizione musicale, ciÚ che essa ha di perennemente valido. Si mantengono legati ad essa con un cordone ombelicale attraverso il quale passa tutta la sostanza, l’energia vitale, della concezione africana del mondo. Ritengono impossibile riproporre le teogonie, le genealogie, le storie di un passato ormai lontano e preferiscono cantare a scopo di intrattenimento o proporre i problemi, le collere, le speranze, le attese dell’Africa moderna.

L’artista africano conosce la difficoltý di far conoscere e accettare in occidente le sue radici e le radici della sua terra di origine. CosÏ il suo ricorso alla strumentazione occidentale o le sue concessioni al gusto occidentale diventano spesso una sorta di strattagemma per risvegliare l’attenzione, la curiositý dei suoi ascoltatori mettendoli cosÏ in grado di ricevere anche il resto del suo messaggio. Una manciata di grandi artisti ha giocato un ruolo decisivo nella disseminazione del pop africano, dell’afro-rock e degli autentici linguaggi musicali africani in occidente. E’ riuscita a farsi apprezzare e a farli apprezzare, ponendo cosÏ la premessa per una maggiore conoscenza e utilizzazione della tradizione musicale africana.

 

Stili e profili

Le prime contaminazioni fra la musica tradizionale africana e la musica popolare occidentale sono quelle rappresentate dalla palm wine music, cosiddetta perchÈ suonata originariamente nei bar che vendevano vino di palma. Questo genere musicale ha goduto di una grande popolaritý nelle cittý costiere dell’Africa occidentale, in particolare Lagos, a partire dalla fine del secolo scorso. Essa fu poi affiancata e in parte sostituita dalla konkomba music che cominciÚ a diffondersi negli anni ’40 a partire dal Ghana. Questi stili furono progressivamente rimpiazzati da stili diventati poi celebri a livello mondiale.

Qui passeremo brevemente in rassegna alcuni di questi stili, indicando le aree di maggiore diffusione e i principali compositori-strumentisti che hanno contribuito a crearli e a conferire loro una risonanza a livello mondiale. Seguirý un breve cenno ai paesi africani che non hanno elaborato stili particolari, indicando per ognuno di essi i compositori-strumentisti che si sono maggiormente imposti sulla scena internazionale.

 

1. Highlife. Viene indicato con questo nome (dolce vita) un genere di musica da ballo dell’Africa occidentale. Creato in Ghana negli anni immediatamente successivi alla Prima guerra mondiale sulla scia della wine palm music, l’highlife si diffuse anche negli altri paesi anglofoni della regione, soprattutto Nigeria e Sierra Leone. Viene suonato sia da orchestre da ballo, con largo uso di strumenti a fiato (forma più occidentale), sia da soli chitarristi (forma più tradizionale e africana). L’highlife Ë debitore anche ad influenze latino-americane e afro-cubane. L’esecuzione dell’highlife si avvale sia di strumenti occidentali (concertine, armoniche, chitarre) che di strumenti africani tradizionali. I testi raccontano in genere storie popolari con brevi digressioni sull’attualitý, il danaro, la vita, l’amore. Il linguaggio Ë tipicamente africano e ricorre anche a parole in lingue locali.

Compositori-strumentisti. Ghana: E.T. Mensah, il vero creatore e re dell’highlife; African Brothers, il gruppo chitarristico più famoso del paese; E.K. Nyame; Eddie Donkor; City Boys; Pat Thomas; Ko Nimo; George Darko. Nigeria: Bobby Benson; Celestine Ukwu; Sweet Talk; Osita Osadeke, uno dei padri fondatori dell’highlife nella Nigeria orientale; Prince Nico Mbarga, chitarrista che accoglie anche elementi reggae e funk. Sierra Leone: S. E. Rogers, cultore anche della palm wine music, e i Morning Stars; Super Combo Kings.

 

2. Afrobeat. Il termine afrobeat Ë stato coniato dal nigeriano Fela Anikulapo-Kuti per descrivere la sintesi fra la musica dell’Africa occidentale e la musica nero-americana da lui operata e divulgata in Nigeria a partire dalla meta degli anni ’70. I principali elementi dell’afro-beat sono: il canto a “chiamata e risposta” (antifonale) tipico della tradizione africana, i versi in inglese storpiato (broken english), le contaminazioni jazzistiche e occidentali leggermente africanizzate, il beat e il tempo chiaramente definiti e riconoscibili, l’uso di strumenti a fiato e tastiere. I testi dell’afrobeat sono sempre decisamente schierati sul piano politico.

Compositori-strumentisti. Nigeria: Fela Anikulapo-Kuti; Tony Allen; Sonny Okosuns; Onyeka; gli Osibisa.

 

3. Juju. CosÏ chiamato probabilmente dal nome di un tamburello usato dai primi gruppi che lo eseguirono o forse come semplice storpiatura di jo jo, che in yoruba significa “danza”. Questo stile musicale fu creato da artisti yoruba della Nigeria attorno agli anni ’60. I testi, spesso misticheggianti, riprendono antichi usi religiosi, inserendoli in schemi ritmici e canti antifonali. I motivi musicali ripropongono, spesso in lingua yoruba, antichissimi motivi di corte e motivi sociali. La strumentazione associa strettamente strumenti occidentali (chitarre elettriche) e strumenti africani (tamburi parlanti, strumenti a percussione). Il risultato Ë una musica dall’accento spiccatamente africano, un tipico esempio di come l’Africa abbia saputo assorbire idee occidentali e riesprimerle in forma africana. Lo juju Ë stato esportato con successo anche in Europa e in Nord America.

Compositori-strumentisti. Nigeria: Tunde Nightingale; Sunny Ade (sistema synchro); Ebenezer Obey (sistema miliki); Dele Abiodun (sistema adawa); Segun Adewale (creatore del yopop = yorubapop, dal ritmo veloce e incalzante, intriso di elementi jazzistici.

 

4. Apala/Sakara. Sono due stili musicali molto simili. L’apala Ë una musica nigeriana per voci e percussioni, resa popolare da Haruna Ishola. Apala e sakara sono linguaggi tradizionali nati nel nord della Nigeria fra gli yoruba di fede islamica. Sono una mescolanza di elementi arabi e africani, strumenti a percussione e tamburi tradizionali, forme vocali antifonali, modelli melodici ed armonici arabi. Poco conosciuti in occidente, questi due stili sono molto popolari fra i musulmani della Nigeria.

Compositori-strumentisti. Apala: Haruna Ishola. Sakara: Yusuf Olatunji.

 

5. Fuji. Stile musicale sviluppato da musicisti yoruba della Nigeria, dove Ë attualmente più popolare dello juju. Esso Ë stato influenzato soprattutto dalla musica islamica che sveglia i fedeli durante il mese del digiuno (ramadan). Il suo stile vocale reca una forte impronta islamica. La strumentazione Ë costituita da un insieme di tamburi parlanti, tamburi bata, campane e sonagli.

Compositori-strumentisti: Sikiru Ayinde Barrister; Kollington Ayinla.

 

6. Makossa. Danza popolare originaria del Camerun. Musica per chitarra e percussioni con immissione di elementi propri di highlife, rumba, merengue, dovuti alla diffusione in Camerun dei cosiddetti dischi “spagnoli” (musica afro-cubana).

Compositori-strumentisti: Manu Dibango (makossa highlife); Sam Fan Thomas; Moni Bile (makossa new look); Tokoto Ashanty; AndrÈ Mary Tala (makossa, funk, zouk). Originale scrittore e musicista camerunese Ë anche Francis Bebey (chitarra e sanza).

 

7. Il rap. Questo stile musicale sta rapidamente invadendo l’Africa. E’ probabilmente la restituzione di una parte del debito che l’America ha contratto con il continente africano al tempo della tratta degli schiavi, ma gli africani riscoprono il loro rap indigeno e sostengono che anche questo stile musicale Ë approdato in America a partire dall’Africa.

 

Fra i molti stili fioriti al di fuori dell’Africa sub-sahariana scegliamo solo due esempi: uno algerino e l’altro sudafricano.

 

8. Rai. Questo stile musicale, molto popolare in mezzo ai giovani algerini, Ë sorto verso la fine degli anni ’70 nella zona di Orano. E’ l’ultimo anello di una lunga catena di contaminazioni di tradizioni e culture. Risalente inizialmente all’osmosi intervenuta fra le comunità algerina, marocchina, spagnola e francese, esso fu ripreso negli anni ’20 dalle cantanti che esaltavano nelle fumerie di hashish, nelle bettole e nei bordelli i piaceri della carne e dell’alcool e approdÚ poi nelle musiche dei pastori beduini. Urbanizzatosi e modernizzatosi negli anni ’40 e ’50, il rai diventa negli anni ’80 la musica impegnata attraverso la quale le giovani generazioni algerine esprimono le loro frustrazioni e la richiesta di una maggiore libertà. Il rai Ë un riuscito intreccio di innovazione e tradizione, attualità e roots, che tenta persino di recuperare l’eredita maghrebina da contrapporre all’egemonia dei modelli egiziano-libanesi.

 

9. Pop delle townships. Le townships del Sud Africa sono state una vera e propria fucina di stili musicali. Esse hanno prodotto, fra l’altro, il mbaqanga, lo stile musicale incontestabilmente più duro e aggressivo di tutta l’Africa, una sorta di musica proletaria molto in voga nei quartieri popolari, ma disprezzata dai cultori del jazz e della musica classica, stili molto rappresentati in Sud Africa.

Compositori-strumentisti-cantanti sudafricani di varie estrazioni musicali: Manhattan Brothers; Miriam Makeba; Hugh Masekela; Malombo Jazz; Sipho Mabuse; Malopoets; Ray Phiri; Savuka; Ladysmith Black Mambazo.

Paesi

1. Mali-Guinea-Senegal-Gambia sono i paesi che costituivano un tempo il grande impero del Mali, il quale raggiunse il suo massimo splendore nel XIV secolo. Dal punto di vista musicale Ë il regno degli jalis (griot), i membri delle antiche caste musicali. Strumenti tipici di quest’area sono: la kora, il konting, un piccolo liuto e il balafon. In Guinea, la storia della musica moderna inizia con la rivoluzione culturale operata negli anni ’50 da Sekou TourÈ.

Compositori-strumentisti. Guinea: Bembeya Jazz National Orchestra; Les Amazones de GuinÈe; Mory Kante. Mali: Salif Keita. Senegal: Youssou N’Dour; Lamine Kante; Super Diamono de Dakar; i Toure Kunda. Gambia: Jali Foday; Musa Suso. Gabon: Pierre Akendengue.

 

2. Costa d’Avorio. E’ sempre stato uno degli stati africani più conservatori e filo-occidentali. In Costa d’Avorio ha prevalso la musica occidentale (europea e americana), ma si Ë registrata anche una buona diffusione della musica zairese (soukou) e della musica caraibica.

Compositori-strumentisti: Sery Simplice; Alpha Blondy (reggae); Nyanka Bell; Aicha Kone.

 

3. Repubblica democratica del Congo (ex Zaire). In questo paese ha prevalso per molto tempo la rumba di stile occidentale. Ma il movimento nazionalistico prima e le campagne di africanizzazione e zairianizzazione poi hanno riportato in auge musiche più tradizionali, basate in genere su un’ampia contaminazione di ritmi (cha cha cha, bolero e rumba latino-americana) e di esecuzioni strumentali. Quella che viene definita musique zairoise e che ha trovato buona accoglienza in diverse parti dell’Africa privilegia le armonie vocali, l’intreccio delle chitarre e i ritmi strascicati. I suoi principali stili sono la rumba, il congo jazz e il soukous. Nella Repubblica democratica del Congo si praticano oltre mille tipi di danza, ma il ritmo più amato dalle varie popolazioni resta sempre la rumba.

Compositori-strumentisti: Joseph Kalle; Doctor Franco, ora defunto; Tabu Ley Rochereau, il maggiore innovatore della rumba congo-zairese; Sam Mangwana; Clan Langa Langa; Quatre Etoiles; Ray Lema; Souzy Kasseya; Kando Bongo Man; Abeti Masikini; Papa Wemba.

 

4. Zimbabwe. Il paese possiede una lunga tradizione di canti di protesta, ma ha subito anche forti influenze da parte della musique zairoise e dell’african jive sudafricano, nonchÈ da parte delle correnti occidentali (hard rock, heavy metal) e caraibiche.

Compositori-strumentisti: Thomas Mapfumo (shona); Oliver Mtukundzi; Bhundu Boys; i Real Sounds; Devera Ngwena Jazz Band; Jonah Sithole (mbira music); Stella Chiweshe.

 

5. Kenya-Tanzania. In questi paesi Ë sempre prevalsa una mescolanza di linguaggi musicali provenienti dal di fuori (soprattuto dalla Repubblica democratica del Congo) e di linguaggi musicali indigeni regionali.

Compositori-strumentisti: Shivati Jazz; Gloria Africana; African Heritage.

 

CONCLUSIONE

La domanda che spesso pongono i giornalisti occidentali quando incontrano e intervistano i grandi compositori-strumentisti della musica africana moderna Ë quella relativa alla purezza della loro musica e alla sopravvivenza della musica africana tradizionale. Essi li rimproverano in qualche modo di fare eccessive concessioni ai “gusti” occidentali e di prendere con troppa disinvoltura le distanze dalle loro vere tradizioni musicali.

E’ indubbio che le musiche africane moderne sono uscite al di fuori del loro quadro originario. E non solo in senso geografico. Esse hanno perduto il loro significato primitivo. Non parlano più di cosmogonie, genealogie, tradizioni, miti e riti. Non intendono orientare l’uomo nella vita del villaggio e guidarlo sul sentiero dell’eternitý. Probabilmente si sono impoverite sul piano dei contenuti, dei messaggi. In compenso si sono certamente arricchite sul piano strumentale e tecnico. D’altra parte, i compositori-strumentisti africani moderni hanno l’innegabile merito di aver stuzzicato la curiosità degli occidentali e di averli costretti ad aprire gli occhi sul loro mondo e sulle loro culture.

Il dibattito da tempo in corso fra gli “ibridatori”, favorevoli a una sintesi fra le tradizioni musicali africane e occidentali, e i “puristi”, sostenitori della musica autoctona in tutta la sua purezza, sembra votato a una sconfitta di questi ultimi. Gli artisti africani hanno imboccato già da decenni la strada dell’ibridazione e non vorranno, nÈ potranno, tornare indietro.

In genere, gli artisti africani moderni provano un senso di fastidio quando si sentono rivolgere dai giornalisti domande come quelle accennate all’inizio. Si dimostrano seccati quando si rimprovera loro di seguire le mode musicali occidentali e di abbandonare le loro radici. Sentono che il mondo africano Ë un mondo in rapida trasformazione e che essi non possono perdere il passo della storia. Non si stancano di ripetere che l’Africa di oggi Ë diversa dall’Africa dei villaggi e che le loro concessioni ai gusti occidentali sono meramente estrinseche e nulla sacrificano della sostanza dell’anima africana. Essi intendono cantare l’Africa realmente esistente, senza attardarsi su aspetti folcloristici, rimanere inchiodati a stereotipi e restare prigionieri di un passato che come tale non esiste più. In Africa il tempo non si Ë fermato e le “radici” poco hanno a che vedere con quelle manifestazioni superficiali delle tradizioni africane che sembrano cosÏ care agli occidentali. Osserva Manu Dibango: “Quando sei un africano in Europa significa che suoni il tam-tam. Io non suonavo il tam-tam, ma il sassofono: Ë stata dura farlo capire!” (Tosi, 87) e ancora: “Io sono orgoglioso di essere africano, ma essere africano non vuol dire essere legato mani e piedi all’Africa. Se si resta solo nel proprio ambiente non si impara nulla” (Stapleton-May, 101). Anche George Darko sottolinea un aspetto importante: “Vogliamo che la gente apprezzi la musica africana e per fare questo dobbiamo compiere delle mediazioni. Una volta che la musica Ë accettata, possiamo sempre introdurvi un maggior numero di elementi africani. Ma prima dobbiamo trovare un cliente” (Stapleton-May, 84).

D’altra parte, non sembra che la musica occidentale moderna abbia schiacciato, soppiantato o indebolito la musica tradizionale africana. In profondità essa non ne Ë rimasta intaccata. Nelle scuole si insegna sia la musica occidentale che quella tradizionale. I governi prestano una crescente attenzione alle espresioni musicali e artistiche tradizionali e promuovono e sostengono i loro gruppi musicali e le loro compagnie di danza anche a livello internazionale. L’Organizzazione dell’Unita Africana (OUA), da parte sua, stimola la cooperazione fra i diversi stati africani in campo artistico e musicale e sponsorizza regolarmente festival pan-africani per favorire una maggiore integrazione musicale a livello continentale.

Sul futuro della musica africana tradizionale non c’Ë da essere pessimisti. L’Africa moderna continua a mostrare una particolare predilezione per gli stili musicali che essa stessa ha generato, o contribuito a generare, perché le sono più congeniali e sono maggiormente sostanziati dal suo retroterra culturale. In definitiva, sono proprio questi gli stili che le ritornano di preferenza dall’Europa e dall’America. L’Africa Ë saldamente assisa sul doppio binario del cambiamento e della continuità. E’ indubbio che l’impatto con il mondo musicale moderno le pone dei problemi, ma Ë pure indubbio che la musica africana tradizionale evolve non solo sotto la spinta di fattori esterni, ma anche in dipendenza da fattori interni. Anche al suo interno si registrano continui cambiamenti e continue innovazioni. Del resto non potrebbe essere altrimenti. Strettamente legata alla vita della comunità, la tradizione musicale ne segue lo sviluppo. Se scompare, ad esempio, un’associazione di cacciatori, anche la musica legata a quella particolare associazione tende a cadere in disuso. Se viene a cessare un certo culto, anche i riti, i testi e le musiche legate ad esso tenderanno ad essere lasciati da parte e poi dimenticati. La musica non Ë statica; Ë viva e si rinnova. Il repertorio musicale non resta immutabile e immutato. Certe sue parti decadono e altre ne prendono il posto. Anche il musicista africano tradizionale Ë costretto a inseguire “mode” e “gusti” E questo già in seno alla sua comunità. Certi stili e canti non sembrano più graditi? Vengono lasciati cadere. Altri decadono da soli, spontaneamente. Scrive Kwabena Nketia: “La musica Ë sempre legata a una qualche esperienza comunitaria e la continuità della tradizione musicale dipende in qualche modo dalla fatica individuale e collettiva. E’ l’individuo creativo a creare e ricreare un repertorio, ma coloro che lo apprendono e lo eseguono in momenti di importanza sociale appoggiano la tradizione e fanno diventare questo repertorio parte dell’eredità comune” (p. 57).

Circa il futuro della musica africana vorrei concludere con una citazione di Francis Bebey, che Ë tratta dal suo African Music e che io riprendo da Stapleton-May (14): “… la saldatura e la rigenerazione saranno le vie seguite dall’arte africana. Molte influenze straniere penetrate in Africa verranno incorporate in una nuova forma di arte nera africana. Questa forma di iniziazione sarà forse deplorata da coloro che hanno profonde tendenze conservatrici o razziste, ma riteniamo che, anziché produrre un dannoso modernismo imbastardito, questa mutazione infonderà nuova vita all’arte africana e proverà il trionfo dei valori umani e universali sulla sterilità esoterica”.

 

BIBLIOGRAFIA

Bebey F., Musique de l’Afrique, Parigi 1969.
Graeme Ewens, Africa O-ye-la. Musica africana, Calderini, Bologna 1993.
Kwabena Nketia J.H., La musica dell’Africa, SEI, Torino 1986.
Nuova Enciclopedia della musica, Garzanti, Milano 1991, 882-884; 900-904.
Risselin T., “La chanson savante chez les Watoutsis”, Jeune Afrique 6, 1949.
Stapleton Ch.-May Ch., Musica africana. Un atlante sonoro, Arcana Editrice, Milano 1991.
Tosi E., La kora e il sax. Forme e protagonisti della musica africana moderna, EMI, Bologna 1990.